L A B O R A T O R I O  D I  A R C H I T E T T U R A  E  D E S I G N

L’icona giusta e l’icona Sbagliato

Ci sono delle finestre sbagliate in giro per Roma. Ci cammini davanti e lì per lì non te ne accorgi, passano inosservate. Ma il tuo cervello le ha registrate, ha capito che c’è qualcosa che non va; e allora torni indietro sui tuoi passi, guardi meglio e ti chiedi cosa ci faccia una finestra antica sul muro di una discoteca di Testaccio, o sulla facciata di un condominio al Flaminio, lì da sola, fuori asse e diversa da tutte le altre. Solo alla fine ti accorgi del trucco: si tratta di una stampa di carta incollata sull’intonaco.

Queste affissioni abusive sono l’opera del gruppo Sbagliato che, da più di due anni, sparge sui muri della Capitale (e non solo) portoni e finestre di carta. La street art, cioè il grande contenitore dal quale inevitabilmente Sbagliato è inghiottito, è stata da tempo digerita (persino in Italia) come una pratica diversa dal comune imbrattare i muri tipico dei writer e dei teppisti. Ma Sbagliato si pone in modo diverso dai precedenti tentativi romani. Finora abbiamo visto gli streetartisti de’ noantri mutuare il loro modo di esprimersi dai modelli anglosassoni e americani: muovendosi sulla linea di confine tra ciò che è dentro e ciò che è fuori dalla legalità, ingigantiscono l’icona quotidiana e la mostrano in strada, perché tutti possano vederla. Ma la differenza sta proprio qui: la street art si mostra in modo palese (e invadente), mentre Sbagliato agisce in modo nascosto e subliminale. C’è qualcosa di kafkiano nelle loro finestre: apparentemente è tutto normale e poi, all’improvviso, l’assurdità e quindi anche l’ironia si rendono manifeste.

Un’altra grande differenza consiste nella precisa volontà di non affrontare in modo diretto temi sociali o politici. Se Banksy ci ha mostrato per le strade di Londra l’icona giusta (ad esempio due poliziotti che si baciano), questi ragazzi romani provano a farci vedere l’icona sbagliata senza l’ansia di volersi autodefinire politicamente corretti o scorretti. E basta questo a renderli poetici: i temi della finestra e del trompe-l’œil sono una antica e meravigliosa ossessione di tanti grandi artisti, da Baldassare Peruzzi e le sue finte logge a Villa Farnesina Chigi fino alle persiane di Tano Festa. Dietro le finestre di Sbagliato c’è il sogno di voler giocare, del voler fare ironia attraverso una composizione architettonica. Se Shepard Fairey scrive HOPE sotto il ritratto di Obama, Sbagliato, senza troppe pretese o velleità, si limita a incollare le finestre del Palazzo della Civiltà del Lavoro su una scuola elementare di Gaeta, lasciando intuire la speranza (comune a tutti noi) che un giorno i nostri studi possano portare davvero a un lavoro, proprio ora che la crisi sembra avercelo rubato.

La città di Gaeta ha permesso a questi ragazzi di portare il Colosseo Quadrato sul prospetto di un edificio razionalista; Roma Capitale potrebbe almeno permettere a Sbagliato di incollare una grande finestra sul fronte del Palazzo dei Congressi, il capolavoro di Adalberto Libera che all’Eur fronteggia senza alcuna timidezza proprio il Palazzo della Civiltà del Lavoro. Anche i più polverosi antiquari e maniaci della conservazione possono stare tranquilli: al primo acquazzone la finestra si scolla e tutto torna come prima.

Francesco Napolitano

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